venerdì 13 luglio 2012

Musicoterapia e Alzheimer - Riflessioni (1)


Inizio oggi la pubblicazione di una serie di articoli di approfondimento sul lavoro di musicoterapia che sto realizzando in ambito Alzheimer. Le riflessioni su improvvisazione terapeutica al pianoforte, dialogo sonoro, terapia individuale e approccio olistico, seguiranno il filo rosso del percorso terapeutico che sto svolgendo con una paziente che, in questa sede, chiameremo Francesca (nome di fantasia). Di seguito la prima parte.

Musicoterapia individuale in casa di riposo
Mi piacerebbe farti conoscere Francesca.
Eccola qui.



Francesca rientra nel grande e variegato gruppo delle persone affette dalla cosiddetta malattia di Alzheimer. L’ho incontrata per la prima volta un anno e mezzo fa, perché tra i primi pazienti che ho preso in carico all’interno del progetto sperimentale di musicoterapia che sto sviluppando con l’Associazione Ricerca Alzheimer di Lissone presso l’R.S.A. Agostoni di Lissone. 



Il progetto è speciale, per almeno due ragioni: perché lavoro individualmentecon ogni paziente per un’ora a settimana; perché stiamo utilizzando in forma sperimentale la tecnica di improvvisazione terapeutica al pianoforte.
Confrontandomi con altri specialisti nel settore (sia musicoterapeuti che danza-movimentoterapisti) ho potuto constatare che le attività di questo tipo sono quasi sempre pensate per interventi di gruppo. L’esigenza di ottimizzare il più possibile i costi è uno dei criteri principali alla base di tale scelta. Ma credo esista anche un aspetto importante di progettualità, secondo la quale l’intervento di musicoterapia è concepito soprattutto come intervento di integrazione/animazione/intrattenimento, intendendo ciascuno di questi termini con il valore più alto possibile. È indubbio, infatti, riconoscere in questi obiettivi alcuni dei bisogni primari più importanti e delicati per persone affette da demenza: in una quotidianità fatta di disperata dispersione di sé, di isolamento, di sconforto, il lavoro nella dimensione di gruppo ha grande valore.
A mio avviso, tuttavia, manca una ricerca che si ponga anche altre finalità.
La scommessa alla base del progetto sperimentale pensato insieme ad Aral è quella di effettuare un lavoro di sostegno terapeutica con il singolo paziente, che ponga maggiore attenzione alle caratteristiche, ai bisogni, alle risorse residuali specifiche di ogni persona. Sapendo che abbiamo a che fare con una patologia degenerativa che conduce inevitabilmente alla morte, abbiamo tuttavia l’opportunità, nella dimensione dell’intervento individuale, di stimolare la persona in modo più personalizzato, e di lavorare con un approccio olistico che cerchi di ri-armonizzare, per quanto possibile, le difficoltà organico/cerebrali con quelle psicologiche e, perché no, spirituali dei pazienti.
Da questo punto di vista, la nostra Francesca è una persona con bisogni, aspettative di vita, modalità relazionali, percorsi umani propri, difficili da catalogare e generalizzare. L’osservazione all’interno di quella che chiamo la stanza dei suoni, ovvero il luogo attrezzato di pianoforte a coda in cui realizzo gli interventi di musicoterapia, permette di svelare aspetti di Francesca che è più difficile conoscere all’interno del reparto. Nella sua quotidianità Francesca appare infatti quasi completamente chiusa all’esterno: non parla, osserva poco gli altri, deambula avanti e indietro per i corridoi del nucleo protetto, non partecipa ad attività di gruppo, non manifesta iniziative personali su nulla. Sul piano fisico, Francesca è sempre tesa, stretta nelle spalle, bocca serrata, respiro piccolo, irregolare, sottile, a volte si storta sul fianco destro, il passo è lento ma costante.



Nella stanza dei suoni, nel corso dell’anno e mezzo di lavoro, Francesca ha mostrato altri lati di sé. Oltre l’apparente povertà di capacità residue e la chiusura, sono emerse una spiccata attenzione per i suoni, del pianoforte ma anche dei flauti e del tamburo; una diversa capacità di interagire con l’interlocutore (contatto degli occhi, azioni personali coerenti con specifiche richieste); la possibilità di ridurre la grande tensione che caratterizza la sua armatura psico-somatica. Sul piano emotivo, l’apparente apatia legata a due facce con la ferma impossibilità di lasciarsi andare,  ha dato spazio al piacere di essere immersa nella vibrazione dei suoni, alla rabbia per la propria condizione di dolore e di confusione, alla commozione per alcune esperienze sonore e relazionali particolarmente coinvolgenti. E poi, gradualemente, la possibilità di comunicare con il mondo esterno e, improvvisamente, il ritorno della parola. Di questi temi, parlerò nei prossimi giorni.

(fine prima parte - continua)

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